…Quel presepio di sette secoli fa…

Il clima natalizio appena passato sollecita un argomento natalizio: e lo spunto me l’ha fornito una parente accennandomi alla commemorazione, a Greccio, del presepe vivente che S. Francesco d’Assisi vi aveva realizzato nel 1223.

L’iniziativa di Francesco si inseriva naturalmente nel solco delle sacre rappresentazioni, ma era particolarmente originale perché, mentre diffusissime erano le rappresentazioni aventi per tema la Pasqua, non si hanno notizie certe di precedenti rappresentazioni del Natale.

Le sacre rappresentazioni pasquali, tra l’altro, insistevano assai più sulla passione di Cristo che sulla  resurrezione (non a caso esiste ancor oggi il rito della via crucis….): e ciò, naturalmente, non era dovuto a un sussulto di realismo della chiesa medievale, che l’avesse indotta a privilegiare il fatto, con ogni probabilità storico, della crocefissione, rispetto alla narrazione mitologica della resurrezione!

Il fatto è che il tema tragico della passione e morte di Gesù, evocate davanti ai fedeli, corrispondeva ad una precisa esigenza politica della chiesa, che nel corso dei secoli era divenuta essenzialmente un centro di potere.   Il potere ecclesiastico, non potendo fondarsi sulla forza militare (l’esiguo esercito del papa e le milizie dei vari vescovi conti erano ben poca cosa…..), doveva necessariamente reggersi su potenti elementi psicologici, in grado di piegare alla sottomissione, o almeno alla soggezione, i fedeli, autorità civili comprese.

Le drammatiche rappresentazioni pasquali, evocanti morte e torture, avevano a tal fine un significato ben preciso: “Pensate alla morte e all’aldilà! Cristo si è sacrificato per voi! Pentitevi dei vostri peccati! E, naturalmente, non dimenticatevi delle pene infernali, dal cui rischio potrà proteggervi solo santa madre chiesa, se le sarete ubbidienti!”.

Alla base di tutto vi era l’assoluta esigenza di coltivare i sensi di colpa dei fedeli: e, quale strumento principe diretto a tale obiettivo, la chiesa medievale aveva inventato il sacramento della confessione.   Nei primi secoli esisteva una forma di confessione pubblica, dinnanzi a tutti i fedeli, ma quando essa venne soppressa, con la ragionevole motivazione di evitare il rischio di scandali, la chiesa ideò la confessione segreta, tuttora praticata, che, nel costringere il fedele a meditare sui propri peccati, lo poneva di fronte a un sacerdote fornito del potere di assoluzione. Come dire: “Voi siete colpevoli peccatori, ma la chiesa può salvare le vostre anime!”.

Naturalmente tutto questo era tanto più efficace quanto più la religione era vissuta in toni drammatici: e alla sacre rappresentazioni sulla passione di Cristo faceva riscontro l’evoluzione dell’iconografia religiosa durante il medioevo. Nei primi secoli del cristianesimo nessuno si sognava di raffigurare Cristo crocefisso: quale immagine di Gesù si utilizzava solitamente quella serena e rasserenante del “buon pastore”. Solo nel medioevo dilagò invece la figura macabra del corpo di Gesù (morto o morente) inchiodato sulla croce.

Le sacre rappresentazioni della passione non servivano però soltanto a far pensare alla morte, all’inferno, ai peccati e alla necessità di sottomettersi alla chiesa per non vanificare il sacrificio di Cristo: esse avevano anche un sottinteso significato di divisione, di contrapposizione e di odio. Come ben sanno tutti i propagandisti di regimi autoritari, per garantirsi il potere è necessario creare nelle masse un forte senso di identità, sorretto dall’ostilità verso nemici veri o immaginari. E’ necessario, a tal fine, che vi sia una netta distinzione tra noi, che naturalmente siamo i buoni, e loro, che sono invece i cattivi, meritevoli di odio e di disprezzo. Le folle di fedeli medievali che assistevano alle sacre rappresentazioni della passione di Cristo come avrebbero potuto non odiare il traditore Giuda (e, fin qui, poco male!), non odiare gli ebrei che avevano voluto la morte di Gesù, non odiare i romani che l’avevano crocefisso? E poiché i romani erano morti da un pezzo (a differenza degli ebrei, che difatti erano oggetto di persecuzioni e vessazioni continue……) se ne trovavano facilmente dei validi sostituti, quali gli infedeli e gli eretici.

Ecco allora che quelle tali rappresentazioni divenivano del tutto funzionali alla chiesa delle crociate, dell’inquisizione, delle scomuniche e del rogo per gli eretici.

Va anche detto che nel carattere tragico e cupo che contraddistingue talune espressioni del cristianesimo medievale influì probabilmente, anche se in misura limitata, un altro fattore, costituito dall’avvenuta conversione, nel corso dei secoli, dei popoli germanici. Questi ultimi, evidentemente, potevano tanto più facilmente accettare la nuova religione quanto più vi scorgessero elementi non dissimili da taluni del loro originario paganesimo, caratterizzato per l’appunto da toni tragici e cupi. Se i germani delle diverse etnie potevano accettare l’idea che il figlio di Dio si fosse fatto crocefiggere, anziché rigettarla come una demenziale assurdità, ciò era probabilmente dovuto al fatto che avevano ben presente il mito di Odino, per nove notti appeso a un albero e ferito da una lancia, “sacrificio di se stesso a se stesso”.   E, in tale clima culturale, era normale che la chiesa cercasse anche di accontentare i gusti dei più recenti convertiti.

In questo quadro Francesco d’Assisi decide invece di rappresentare la nascita di Gesù.  Invece della morte esalta la vita nascente, gli affetti familiari, la serenità e la solidarietà che coinvolgono persone diverse (pastori, magi, ecc.), senza neppur dimenticare i quadrupedi (il bue e l’asino di evangelica memoria…..).  Non ci sono “cattivi”, nessuno fa del male a nessuno e nessuno odia nessuno.   E, naturalmente, la rappresentazione è perfettamente in linea con la concezione religiosa di Francesco: la chiesa dovrebbe tornare alla povertà evangelica, fondamento del cristianesimo dovrebbe essere un amore universale, esteso non solo a tutti gli uomini ma anche alle altre creature, tutti, di conseguenza, dovrebbero vivere in pace.

Da notare, del resto, che anche sul piano politico Francesco non si era limitato alle enunciazioni: non bisogna mai dimenticare il suo viaggio in Oriente e l’incontro con il sultano d’Egitto al Malik al Kamil.  Con buona pace degli agiografi, ritengo molto improbabile che Francesco, che era un uomo intelligente, fosse talmente tonto da pensare veramente di poter convertire al cristianesimo il sultano: è assai più verosimile che si proponesse il più realistico obiettivo – poi effettivamente raggiunto – di instaurare un dialogo tra due persone ragionevoli e di ottenere qualche concessione.  Per comprendere quanto l’idea fosse rivoluzionaria basti pensare che, pochi anni dopo, il papa avrebbe scomunicato l’imperatore Federico II perché tardava ad effettuare una crociata, e si sarebbe in seguito rifiutato di revocare la scomunica dopo che Federico, sbarcato in Terrasanta con il suo esercito, aveva ottenuto Gerusalemme in forza di un trattato.  Secondo il papa, infatti, anziché per via diplomatica, avrebbe dovuto conquistarla con le armi! Per essere buoni cristiani, evidentemente, secondo Gregorio IX, bisognava provocare alcune migliaia di morti ammazzati!

Quel che è certo è che S. Francesco, in vita, almeno un miracolo l’ha compiuto: quello di non venire mai processato per eresia, a dispetto delle sue idee, agli antipodi di quelle della chiesa dell’epoca!

Chissà se qualcuno dei buoni cattolici che nelle scorse settimane hanno preparato o ammirato presepi avrà pensato al significato rivoluzionario di quei figuranti che, sette secoli fa, si riunirono nel bosco di Greccio!

Stefano Asmone

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