Per ricordare Giorgio Torelli

Giorgio Torelli, giornalista, inviato speciale e scrittore aveva conservato un legame profondo con la sua città e con la “parmigianità” che aveva voluto descrivere più volte in tanti articoli sulla Gazzetta  e in un testo che intreccia il ricordo dell’infanzia e della giovinezza con le vicende della città: La Parma voladora. A Parma tornava volentieri e volentieri tornava nella sua scuola, il Liceo Romagnosi.

Un’occasione che insegnanti e alunni del Romagnosi ricordano è quella in cui Giacomo Bassani, compagno di classe di Torelli, espulso per le leggi razziali del 1938 in quanto ebreo, fu riammesso ufficialmente nel suo Liceo per iniziativa della preside Manelli e del Collegio docenti. 

Nel corso della cerimonia, davanti ai docenti ed agli alunni riuniti, Torelli, commosso e contento di quella, sia pur tardiva, riparazione, diede proprio l’impressione di fare ammenda per l’indifferenza che lui e molti dei suoi compagni di allora avevano mostrato per l’espulsione di Giacomo dalla scuola.

L’Associazione Allievi del Liceo ha premiato la lunga e prestigiosa carriera giornalistica di Giorgio con l’Aoristo d’oro. In quell’occasione fu premiato un altro scrittore, compagno fraterno di Torelli, Luca Goldoni, anch’egli alunno della Terza B 1946/47, la famosa classe dei giornalisti di cui faceva parte anche Baldassarre Molossi.

Vogliamo salutare Giorgio e ricordarlo anche con la lettera augurale per il 150° del Liceo Romagnosi, indirizzata alla scuola e pubblicata sulla Gazzetta di Parma del 10 dicembre 2010.

IN NAVIGAZIONE SUL TREALBERI “GIANDOMENICO ROMAGNOSI”

Mi chiamo Giorgio Torelli, giornalista, allievo dei tempi che furono a bordo di quel vascello chiamato Romagnosi dove, paulatim- a poco a poco- da semplici mozzi si diventava marinai di coperta e poi guardiamarina, pronti per l’imbarco all’università.

Perché dico vascello Romagnosi? Perché il nostro e ora vostro liceo, con quel sonar ‘ d’acqua del torrente Parma che gli scorre appresso,  così spesso intento a lucentarsi di piccoli flutti o, talora, impermalendosi per l’enfasi plumbea di una piena che spinge a Po marosi d’acqua dolce, quel liceo, perenne habitat di giovinezza in lievito, m’è sempre apparso un’antica, reputata e virile nave-scuola, un trealberi in annuale rotta nei mari della Conoscenza.

Al timone del veliero, ai sestanti e in plancia , si sono succeduti memorabili comandanti e ufficiali vestiti da professori, tutti protesi a colmare di zefiri le grandi vele fatte- almeno per la mia immaginazione- con le tende di tela grezza che dosavano i giochi di luce alle finestre delle nostre classi, aule di geografia degli aricipelaghi da scoprire e degli abitanti che vi dimorano: l’Isola della civiltà greca, dove abitano da sempre Nausicaa, Antigone, Penelope, Edipo, Achille e Saffo; l’Isola della poesia latina, dove incontrare- sbarcando- Orazio, Catullo,  Virgilio, Ovidio, Lucrezio, Properzio e amici; l’ Isola della filosofia, dove imbattersi in Socrate, Platone, Kant. Cartesio, Pascal; l’ Isola della storia vissuta, per dialogare con Cesare, Senofonte, Carlomagno, Napoleone, Garibaldi e Cavour; l’ Isola del teatro, con in scena Eschilo, Plauto, Terenzio, Shakespeare, Molière, Goldoni, Pirandello e Beckett; l’ Isola dell’arte, frequentata da Apelle, Prassitele, Antelami, Giotto, Raffaello, Leonardo, Correggio, Michelangelo, Bernini, Caravaggio, Canova, Cezanne, Monet, van Gogh, Picasso e Kandinsky; l’ Isola della matematica, che si sublima fino alla poesia; l’ Isola delle scienze e quelle dell’aoristo e dell’accusativo in ­–im, sitis, puppis, ravis, buris e- come si divertiva a precisare mia moglie Carlina, brillante star del liceo Orsoline, anche Upis che all’accusativo diventa autorevolmente Upim.

***

Cari amici, il trealberi Romagnosi ci ha garantito molti orizzonti, li abbiamo scoperti, delibati, interpretati e fatti nostri. E anche ne siamo avvinti, con gratitudine per chi ci ammaestrò dalle cattedre, seguendo la bussola dell’intelligenza e del dovere, sempre marinaresco, di puntare la prua versoi l’infinito e di farlo a ragion veduta.

Saluto dunque il vascello Romagnosi al suo compiere i 150 anni di obblighi onorati e gli rivolgo alla voce, sempre com’è prescritto a chi si avventuri in mare aperto, l’augurio reboante di “Romagnosi!Avanti ancora così! Alla via!”. Che vuol dire: il timone è assestato, le velature spingono oltre, ognuno è al proprio posto di manovra per garantire il rispetto del muoversi in qualunque oceano, le buone stelle per guida e la Polare come eterna amica dei cimenti. Sia sempre ripassato il monito che ogni buon nocchiero ha da tenere a mente: “O Signore, com’è piccola la mia nave e com’è grande il Tuo mare!”. Il Romagnosi l’ha sempre saputo e la nave non ha mai ammainato la bandiera del servizio di linea alla Bellezza e alla Virtù.

   p.s. So che per amicizia e con indulgenza leggerete una poesia del fraterno amico Luca Goldoni e una mia, entrambe desunte dal librino intitolato Arianna che- forse con impudenza ma certo con cuore mondo- pubblicammo a Parma nell’anno Domini 1947, quando frequentavamo con l’altro grande amico Baldassarre Molossi la terza liceo sezione B.

Non avevamo i soldi per mandare in stampa il volumetto. E ci presentammo al supremo tipografo parmigiano, quel Mario Fresching che pareva – dal suo trono in tipografia- una replica riuscita di Gambadilegno: basco socialista all’imbrusca, baffi orgogliosi, bastone nodoso e piglio certissimo. Non volle anticipi. Di più: accettò il pagamento per quando il librino avesse avuto esito (e lo ebbe, accrescendo la nostra reputazione di sognatori presso la cerchia dei giovani di allora, poveri ma belli, i paltò rivoltati e l’ardore dei progetti ).

Mario Fresching volle festeggiarci. Gli eravamo piaciuti. Così, con voce stentorea, lanciò un grido alla pingue figlia Isabella che stava al piano superiore. Isabella palesava un’avvenenza parmigiana, la persona ad armonico tondo come una tela di Botero, il viso fiero e nobile, la pettinatura da danzatrice andalusa di flamenco. Fresching comandò nel nostro supremo dialetto : “Isabéla!Isabéla! Prova mo a fär soquant tòch äd torta fritta par chi du poeta chi!”.

Giorgio Torelli

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