Luigi Musini

(vedi libro IL REGIO LICEO GINNASIO “GIAN DOMENICO ROMAGNOSI” MODELLO DI SCUOLA CLASSICA)

Già nel periodo degli esordi esce dalla scuola un personaggio che riunisce in sé molte delle scelte di vita che ritroveremo in seguito: eroe nei grandi eventi della storia patria, impegnato in politica, medico di professione.

Figlio di Carlo, medico di orientamento repubblicano, musicista, impegnato nella vita del paese, Luigi, nato a Busseto nel 1843 e trasferitosi poi a Borgo San Donnino, frequenta le scuole elementari e il ginnasio locale e respira fin da piccolo l’interesse per la politica sia in famiglia, sia nel contatto coi gruppi liberali di Borgo San Donnino tra i quali comincia a circolare, dal 1858, un giornale di propaganda politica a favore dell’unità italiana, organo della Società Nazionale Italiana.  «Il Piccolo Corriere d’Italia» proveniva clandestinamente dal Regno Sabaudo e diffondeva l’idea dell’unità nazionale secondo l’orientamento di quei mazziniani, tra cui lo stesso Garibaldi, che nel 1857 avevano cercato di imprimere una svolta alla stagnante situazione politica, aderendo al programma di Casa Savoia come guida dell’indipendenza italiana. Il giovane Musini scopre la politica attraverso le colonne del giornale che dice di aver letto di nascosto, sdraiato in mezzo ai campi, e si infiamma al richiamo della preannunciata guerra contro gli Asburgo: «Allora io non intendevo ancora nulla di politica, ma siccome entro quelle pagine si parlava d’Italia e di libertà, io non cercavo altro.» 120 Appena sedicenne, decide subito di offrirsi come volontario e il padre lo conduce in Piemonte, dove, dopo ripetuti tentativi, riesce ad arruolarsi nel Corpo d’Artiglieria e dove incontra Cesare Abba, il futuro cronista della spedizione dei Mille: «Per me Egli e Faustino Tanara erano tutta Parma e il parmigiano. M’incontrai la prima volta con lui nel 1859  a Torino, lo vidi nel ’86 in compagnia di amici comuni dell’8° fra i quali ricordo il capitano Pietramellara di Bologna. E poi chi di noi ignorò negli anni belli della vita garibaldina il Dottor Musini?» 121

 L’anno seguente Luigi non riesce a partecipare alla spedizione dei Mille e intanto, superato l’esame d’ammissione, si iscrive al Liceo di Parma nel suo primo anno di vita, dove viene ammirato come un eroe leggendario, e comincia a tenere un diario della sua vita avventurosa e battagliera. A Parma, matura, tra letture e accesi dibattiti coi vecchi liberali del tempo dei Borbone, la sua conversione politica alle idee repubblicane che si precisa nell’estate della II liceo, dopo l’episodio di Aspromonte, quando dichiara di capire «da che parte deve stare». Tra il 1862 e il 1863, durante l’ultimo anno di liceo, frequenta il Caffè Violi  di Piazza della Ghiaia e legge il giornale clandestino di Mazzini: «ogni giorno, dopo pranzo, andava là a prendere il caffè e a leggere «L’unità italiana» agli ammaestramenti della quale cominciai ad uniformare in tutto i miei principi» 122. Nel caffè si riuniscono alcuni ardenti mazziniani tenuti d’occhio dalla prefettura, come il negoziante di Piazza Grande, Giuseppe Valenti, corrispondente diretto di Mazzini, lo stampatore Luigi Donati e l’avvocato Giovanni Mazzadi. E’ il periodo delle manifestazioni contro il governo che ha imprigionato Garibaldi, delle riunioni della sezione parmigiana del Partito d’Azione capeggiata dall’avvocato Oliva e del decimo congresso parmense delle Società operaie che aderiscono alle Società di mutuo soccorso di prevalente orientamento mazziniano; gli anni in cui si discute di Roma capitale, e gli studenti universitari, insieme ad alcuni professori, organizzano dibattiti pubblici sulla politica estera italiana succuba di quella francese, non senza echi tra gli studenti del Liceo locale. 123

Musini continua il suo apprendistato politico durante il primo anno di Università a Parma, come studente alla facoltà di Medicina, e ricorda nel suo diario la frequentazione del caffè Violi e i suoi appassionati discorsi repubblicani, improvvisati dai  tavoli  della Locanda della Rosa.

In seguito, si iscrive all’Ateneo di Bologna e là frequenta il gruppo degli studenti democratici carducciani e collabora come brillante giornalista al giornale «Il Popolo» la cui redazione è frequentata di nascosto dallo stesso Carducci.

Nel 1866 interrompe gli studi per accorrere con Garibaldi alla III guerra d’indipendenza e partecipa alla campagna del Trentino. Nel 1867 scappa da casa appena apprende che il generale sta organizzando una spedizione per espugnare Roma, accorrendo dalla Toscana in aiuto dei rivoltosi. In quell’occasione scrive al padre: «Io mi sento nato per la lotta ed in essa soltanto sento veramente di vivere». Con un viaggio avventuroso raggiunge Terni, dove il dottor Placido Fabris lo presenta ad Enrico Cairoli: egli lo ammette nel gruppo dei settantotto valorosi della spedizione che deve portare armi ed aiuti ai romani pronti per insorgere e che sono conosciuti come gli eroi di Villa Glori. Proprio a Villa Glori vive la tragedia e l’angoscia dell’assedio e della morte di molti compagni, prima di riuscire a raggiungere Garibaldi a Monterotondo e a Mentana, dove si conclude con un’altra sconfitta il tentativo di fare di Roma la capitale d’Italia.

Non fa in tempo, dopo la laurea in Medicina a pieni voti, nel 1869, ad iniziare gli studi di specializzazione, che di nuovo il richiamo di Garibaldi lo trascina sui campi della Borgogna in difesa della Francia contro i prussiani nel 1870: là il suo valore di chirurgo sul campo di battaglia eguaglia quello di soldato.

Dopo un viaggio nell’America meridionale, in omaggio al percorso eroico di Garibaldi, Musini torna ad animare la vita culturale e politica di Borgo San Donnino, fondando, nel 1876, il primo giornale locale, «Il Fidentino», ancora di indirizzo mazziniano, che si propone non solo di trattare  gli interessi morali e materiali della gente, ma di diffondere l’idea di libertà, lo spirito di associazione e l’educazione popolare, compresa quella femminile.

La successiva graduale conversione al socialismo matura grazie alla sua attività di medico condotto a Zibello, nel contatto quotidiano con l’indigenza, le malattie e l’ignoranza dei contadini. Secondo Cesare Abba, egli era ormai convinto che «la libertà era già una gran cosa ma la giustizia sociale valeva assai di più. I nuovi postulati gli parvero corollario naturale di quanto era stato fatto per unificare la patria e conquistare la libertà politica». 124 Nel 1884, candidato politico nel Collegio di Parma, viene eletto alla Camera, primo Deputato, insieme ad Andrea Costa, del neonato Partito Operaio Italiano che assumerà presto il nome di Partito Socialista Italiano. Fonda a Borgo San Donnino la sezione fidentina del Partito Socialista che darà vita anche alla locale Camera del Lavoro, di orientamento riformista, in vivace opposizione, non solo dialettica, con quella di Parma, dominata dalla corrente sindacalista rivoluzionaria. Insieme ad Andrea Costa, fonda a Roma il quotidiano del partito, l’«Avanti!».

Volontari in soccorso della popolazione di Palermo nel 1885, al centro Luigi Musini e Felice Cavallotti

Nel 1884 e nel 1885 accorre volontario a Napoli e a Palermo, a capo di una squadra di soccorso di cui facevano parte anche Felice Cavallotti ed Andrea Costa, per offrire la sua opera di medico nel dilagare delle terribili epidemie di colera.

Dal 1890 si ritira dalle prime scene della politica in un momento di profonda crisi del movimento contadino, dopo aver rinunciato alla candidatura al Parlamento per favorire l’elezione di Andrea Costa e permettergli così di rientrare in Italia: ne ricava solo una solidarietà formale e una profonda delusione umana. Non partecipa così al Congresso di Genova del 1892, il congresso della vera e propria fondazione del Partito Socialista Italiano: egli, che rappresenta la generazione non più cospirativa, ma militante del Risorgimento, e che ha compiuto un percorso personale ed originale rispetto a quel periodo, senza cercare illusorie commistioni tra Risorgimento e Socialismo, può rappresentare un simbolo per i giovani dell’ultimo Ottocento, se non dal punto di vista ideologico, sicuramente per la pratica socialista di vita. Egli è convinto che la moralità pubblica e quella privata coincidano e che non vi possa essere lotta all’ingiustizia senza solidarietà quotidiana e concreta. Di questa pratica egli ha bisogno ed è la sostanza del suo socialismo, e non comprende fino in fondo, pur stimandolo profondamente, un personaggio come Andrea Costa che possiede una lucida ma fredda visione della questione sociale e sa navigare il periglioso mare della politica nazionale.

La sua uscita di scena viene salutata con rimpianto dal collega Emilio Faelli che, dalle colonne del «Messaggero», lo descrive: «uomo modesto, quasi oscuro, che giovanissimo combattè a Villa Glori, che fu poi il capo ammirato ed eroico delle ambulanze garibaldine nei Vosgi, che lavorando come un martire, accumulò in America uno scarso patrimonio riperduto […] interamente nelle lotte politiche […]; soldato e scienziato, amato dai suoi compagni d’arme, e dagli umili, dai poveri, dai diseredati, ai quali da anni offerse e sacrificò tutto il suo cuore e tutto il suo ingegno» 125.

Si presenta per l’ultima volta alle elezioni amministrative di Borgo San Donnino nel 1902, ma poi si dimette perché contrario al connubio tra socialisti e radicali. Si trasferisce, in solitudine, a Parma, dove muore nel 1903.

Nel municipio di Borgo San Donnino, l’odierna Fidenza, lo ricorda un busto marmoreo voluto dagli amici e compagni di tante battaglie e scoperto il 25 ottobre del 1908 alla presenza di Cesare Abba, Ricciotti Garibaldi, Andrea Costa, Leonida Bissolati, Giovanni Mariotti, Agostino Berenini, un altro politico del Liceo, allora deputato al Parlamento e autore del testo dell’epigrafe:

Luigi Musini
tra le balze del Trentino
a Villa Glori a Mentana a Digione
soldato della patria della libertà

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